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Fin dalle proprie origini l’uomo ha avuto la curiosità di conoscere e di interpretare i fenomeni che lo circondano, i mutamenti dello spazio circostante, cercando di darne una spiegazione. Molte sono state le domande che si è posto: perché vediamo muovere il Sole nel cielo? Di che cosa è fatto? Che cosa succede al suo interno?
Attualmente tutte le forze di cui siamo a conoscenza sono quattro: la gravità, l’elettromagnetismo, l’interazione debole e l’interazione forte.
Si ritiene che queste quattro forze siano responsabili di tutti i fenomeni che percepiamo e anche di quelli che non percepiamo, esse stanno alla base di ogni mutamento. Fin dalla scoperta di ognuna di loro, ha avuto inizio un lungo processo di comprensione e descrizione delle sue proprietà, tuttora in corso.
L’uomo è stato sempre consapevole dell’esistenza della forza di gravità, ma solo Newton, alla fine del 1600, ne diede una definizione scientifica, esponendo la sua teoria secondo la quale la forza è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato delle distanze.
Essendo tutta la materia dell’universo conosciuto formata da massa non negativa, la forza è sempre attrattiva: pertanto, pur essendo molto debole rispetto alle altre forze, essa è facilmente osservabile. Essa agisce su un campo di estensione infinita, è la più debole, in quanto ha un’intensità rispetto all’interazione forte di 10-38.
Nel 1797 viene sperimentalmente confermata la sua esistenza da parte di Henry Cavendish, che calcolò l’attrazione tra due grandi sfere di piombo e altre due palline posizionate in modo appropriato. Secondo Newton ogni corpo dotato di massa modifica le proprietà dello spazio circostante, producendo nello spazio stesso un campo di forza; quindi se altri corpi vengono a trovarsi in questo campo vengono sottoposti alla sua forza secondo un’azione a distanza istantanea, cioè senza alcun mezzo di trasmissione.
Questa concezione della gravitazione universale di Newton venne messa in discussione dalla teoria della relatività generale di Einstein, la quale afferma che nessun mezzo fisico può propagarsi ad una velocità superiore a quella della luce. Einstein modificò il concetto di campo gravitazionale, non considerandolo come una forza ma come una manifestazione della curvatura dello spazio-tempo.
L’elettricità e il magnetismo erano noti già agli antichi Greci, i quali scoprirono che un pezzo d’ambra strofinato attirava a sé oggetti minuti e che alcuni minerali si attraevano e respingevano anche a una certa distanza.
Intorno al 1850 Maxwell dedusse (dopo che Faraday e Oersted osservarono rispettivamente che un campo magnetico variabile genera una corrente elettrica e che una corrente elettrica genera attorno un campo magnetico) che l’elettricità e il magnetismo sono due forze strettamente concatenate fra loro e possono essere considerati due aspetti diversi di una singola forza, quella elettromagnetica. La forza elettromagnetica si manifesta tra particelle cariche, obbedisce alla legge dell’inverso del quadrato, come la forza di gravità, e agisce su un campo di estensione infinita. Non è semplicemente osservabile perché, a differenza della gravità, che non ha particelle con massa negativa, l’elettromagnetismo interagisce con particelle sia positive sia negative; tutte le particelle cariche dell’universo tendono ad annullarsi reciprocamente; per questo motivo non abbiamo una prevalente manifestazione della sua forza.
L’interazione debole fu scoperta in seguito al rilevamento dell’emissione di elettroni e antineutrini dal nucleo di atomi radioattivi, cioè il decadimento beta. Fermi sostenne che queste particelle non esistono prima di essere emanate, ma che vengano create dall’energia del nucleo radioattivo, nel corso della trasmutazione del neutrone in protone. Fermi ebbe conferma della sua ipotesi dalla verifica del decadimento del neutrone libero, il quale decade in un protone, un elettrone e un antineutrino.
La forza che governa questo fenomeno, l’interazione debole, è molto più forte di quella gravitazionale e molto più debole di quella elettromagnetica. Generalmente essa è la causa della trasmutazione dell’identità delle particelle, fornisce l’energia al processo del cambiamento di identità delle particelle. Inoltre il raggio d’azione su cui agisce la differisce dalle altre, in quanto è nulla a una distanza maggiore di 10-16 cm; quindi può agire solo su particelle subatomiche.
L’altra forza che opera a queste distanze è l’interazione forte, che agisce fino a 10-13 cm. Essa è la forza che lega le particelle che compongono il nucleo. Solo le particelle più pesanti sono accoppiate a questa forza, quindi ne sono esclusi gli elettroni, i neutrini ecc. Dal momento in cui venne formulata la teoria dei quark, nel 1964, di Gell-Mann e Zweig e poi con la conferma fornita dagli acceleratori di particelle, si comprese meglio la natura di questa forza; la teoria dei quark sostiene che il protone e il neutrone sono formati ciascuno da tre quark, ognuno con carica frazionaria.
L’interazione forte è la forza che maggiormente lega i tre quark presenti nel nucleone e in minor intensità lega un nucleone con un altro. È probabile che molte persone si siano poste la seguente domanda: in che modo un corpo come il Sole sottopone un altro corpo come la Terra alla sua forza gravitazionale? Come fa il Sole a sapere della presenza della Terra? Oppure come fa un elettrone a sapere della presenza di un altro elettrone?
Esiste una famiglia di particelle, dette particelle di campo, che è intimamente associata alle quattro forze; queste particelle sono la causa della trasmissione delle forze tra le altre. Due elettroni creano ognuno un campo elettromagnetico, se si avvicinano a una certa distanza, e deviano attraverso l’emissione e l’assorbimento di fotoni, che sono le particelle messaggere del campo elettromagnetico.
Come tutti sanno, a ogni particella corrisponde un’antiparticella, quindi teoricamente dovremmo tener conto anche delle antiparticelle di campo, ma praticamente non possiamo distinguere i fotoni dagli antifotoni, i gluoni dagli antigluoni e via di seguito.
Questa irrilevanza è dovuta al fatto che le particelle e antiparticelle di campo hanno uguali valori dei numeri quantici che li identificano, quali la carica, lo spin, il numero leptonico e barionico, la stranezza ecc.
A ogni forza viene associata una particella messaggera: per la forza elettromagnetica abbiamo i fotoni, per quella gravitazionale i gravitoni (di cui ancora non è stata confermata l’esistenza), per l’interazione debole le particelle W- Z0 W+ e infine per l’interazione forte abbiamo i gluoni.
La forza che lega i quark, l’interazione forte, è la più forte tra tutte le altre, tanto forte che fino ad oggi gli scienziati non sono riusciti a distruggere un nucleone, o qualunque particella contenente dei quark, perché farlo richiederebbe un’enorme energia.
Sorge spontaneo il dubbio sull’esistenza dei quark. Nei potenti acceleratori di particelle gli scienziati non hanno mai osservato dei quark liberi, ma sono riusciti ad osservare i quark legati insieme.
Fino ad oggi i quark che sono stati individuati sono sei: su (u), giù (d), incantato (c), strano (s), bello (b) e infine vero (t), la cui esistenza non è stata confermata ma soltanto ipotizzata per ragioni di simmetria.
Molti scienziati si sono chiesti se queste quattro forze si potessero collegare tutte insieme in una unica, analogamente a quanto aveva fatto Maxwell con l’elettricità e il magnetismo. Nel corso del tempo si sono formulate teorie che cercavano un’unificazione parziale, ma senza alcuna prova sperimentale.
Intorno agli anni sessanta i fisici teorici non avevano un quadro ben chiaro di tutte e quattro le forze, a parte l’elettromagnetismo, che, con la formulazione, negli anni venti, dell’elettrodinamica quantistica (EDQ: descrive l’interazione del campo elettromagnetico con la materia) è stato compreso in modo più che sufficiente.
Essi non sono riusciti a formulare una teoria gravitazionale quantistica, a causa della complessità matematica; per l’interazione debole non erano ancora state scoperte le particelle messaggere del proprio campo e non si riuscivano a spiegare alcuni aspetti; infine per l’interazione forte la situazione era più critica perché la teoria dei
class="keyword">quark non era ancora tanto accreditata e compresa.
In seguito fu formulata una teoria quantistica dell’interazione forte, la cromodinamica quantistica (QCD) che ne descrive le proprietà e il modo in cui agisce con le particelle, e la teoria di Weinberg e Salam che unifica la forza elettromagnetica con quella debole nella cosiddetta forza elettrodebole.
La teoria di Weinberg-Salam sostiene che la forza elettromagnetica e debole sono due aspetti diversi di una singola forza. A energia più elevate queste due forze si comportano nello stesso modo; noi osserviamo due forze distinte perché viviamo in un mondo a energie relativamente basse. La conferma di questa teoria si ebbe nel 1983 nell’acceleratore di particelle del CERN facendo collidere protoni e antiprotoni, sotto la guida di Rubbia e Van der Meer, e rilevando le particelle messaggere della forza debole. La forza elettromagnetica e debole erano state unificate e stava iniziando a nascere nei fisici la speranza di trovare una teoria che unificasse la forza elettrodebole con quella forte e in seguito anche con quella gravitazionale, ottenendo così la forza originaria, la superforza. Furono avanzate diverse ipotesi che tentavano di unificare la forza elettrodebole con quella forte. Esse vennero chiamate Grande Teoria Unificata (GTU) e differiscono tutte solo per alcuni particolari.
Tra tutte, ancora, nessuna ha avuto un successo rilevante, anche perché attualmente non possiamo avere delle prove dirette che confermino una delle GTU. Per avere una prova diretta dovremmo osservare una forza che si comporta nello stesso modo di quella elettrodebole e di quella forte e per ottenere questa fusione si devono raggiungere energie elevatissime, che al giorno d’oggi non siamo in grado di raggiungere. Però si può verificare la teoria tramite prove indirette: infatti la GTU prevede che il protone non sia stabile, ma che abbia una vita media di 1031 anni circa (cifra che dipende, anche se non di molto, dalla GTU adottata) e che tale età è maggiore di 1021 rispetto a quella dell’universo. Ma non sappiamo con certezza il momento in cui decade un protone nell’arco della sua vita media, perché è imprevedibile. Per verificare se il protone sia stabile o meno, gli scienziati hanno effettuato degli esperimenti. Il più famoso è avvenuto in una miniera di sale a 600 metri sotto il Lago Erie, in cui venivano controllate 8000 tonnellate d’acqua depurata, grazie a dei fotomoltiplicatori che rivelano impulsi di luce; l’esperimento non ha rilevato il decadimento di neanche un protone.
Questo risultato fa crollare le GTU più semplici. Altre più complicate ipotizzano una vita media del protone più lunga, ma ancora non sono stati effettuati degli esperimenti che ne confermino la veridicità. Attualmente siamo giunti ad ipotesi di unificazione parziale delle forze, anche perché non possiamo arrivare a raggiungere energie così elevate da individuare una sola superforza che le racchiuda tutte, ma non è detto che non riusciremo un giorno a confermare l’ipotesi che esse sono intimamente connesse tra loro. Noi viviamo, come ho detto prima, ad energie relativamente basse, per questo motivo vediamo quattro forze distinte; se vivessimo ad energie più elevate, quanto basta per fondere la forza debole con quella elettromagnetica, noi non riusciremmo ad evidenziarne la differenza, ma saremmo a conoscenza di tre sole forze. Se invece vivessimo ad energia più basse di quelle attuali, c’è la probabilità di osservare qualche forza in più, magari scoprendo che quella gravitazionale è la fusione di due forze distinte.
Tuttavia si sono fatti e si stanno facendo tuttora dei passi avanti per comprendere meglio la natura dell’universo e specialmente della sua origine.
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